Con le
dichiarazioni del Tribunale del Riesame di Taranto nell’ordinanza depositata il
20 agosto scorso nel procedimento penale a carico dei massimi dirigenti dell’Ilva,
nonché dello stabilimento di Taranto, si è conclamato che a Taranto è stato
consumato un reato di disastro ambientale:
“Le concrete modalità di gestione dello
stabilimento siderurgico dell’Ilva di Taranto – che hanno determinato la
continua e costante dispersione nell’aria ambiente di enormi quantità di
polveri nocive e di altri inquinanti di accertata grave pericolosità per la
salute umana (alla cui esposizione costante e continuata sono correlati eventi
di malattia e di morte,
osservati con picchi innegabilmente preoccupanti, rispetto al dato nazionale e regionale, nella popolazione della città di Taranto, specie tra i residenti nei quartieri Tamburi e Borgo, più vicini allo stabilimento siderurgico, nonché la contaminazione di terreni ed acque ed animali destinati all’alimentazione umana [….] – integrano senz’altro l’elemento materiale del reato in esame (disastro
osservati con picchi innegabilmente preoccupanti, rispetto al dato nazionale e regionale, nella popolazione della città di Taranto, specie tra i residenti nei quartieri Tamburi e Borgo, più vicini allo stabilimento siderurgico, nonché la contaminazione di terreni ed acque ed animali destinati all’alimentazione umana [….] – integrano senz’altro l’elemento materiale del reato in esame (disastro
ambientale), in termini di condotta ed evento di disastro.”
Tali parole non
provengono più dalla Procura della Repubblica o da un GIP, ma da un Tribunale Collegiale
sul quale non abbiamo motivo di dubitarne
terzietà ed imparzialità.
L’affermazione
della sussistenza di questo illecito rafforza l’accusa nel suo punto
giuridicamente più significativo, laddove il Riesame afferma che il delitto in questione
è stato interamente commesso dagli indagati nella sua forma più grave, ossia
quella prevista dal 2° comma dell’art. 434 c.p., quella che prevede il disastro
e i conseguenti danni e non solo “gli atti preparatori” dello stesso (com’è,
invece, disposto dal 1° comma).
L’operato
dell’ILVA si è spinto, superandolo, al disastro ambientale laddove si è alla presenza
di decine, se non centinaia di morti ed ammalati che soltanto un occhio miope
può non attribuire alla scelleratezza dei comportamenti degli alti dirigenti
Ilva.
Questa forma di nocumento,
diffusa e devastante, è stata finalmente riconosciuta, grazie alla perizia
epidemiologica effettuata in sede d’incidente probatorio, all’inquinamento
provocato dall’Ilva.
Purtroppo però
le singole vittime, allo stato, non avranno giustizia in quanto tra i reati
contestati agli imputati non compaiono quelli di omicidio colposo o di lesioni.
Pertanto, non
è solo un imperativo gesto di coscienza sociale quello che impone di prendere
seriamente in considerazione l’ipotesi di allargare le ipotesi di reato a base
di questo procedimento o di farne avviare uno autonomo incentrato sulle lesioni
(ovvero sulle malattie) e sugli omicidi (cioè sulle morti) colposi seriali che
sono più che verosimilmente ascrivibili a tutti o a parte di questi stessi
indagati. Così come non è affatto peregrina l’ipotesi che l’aumento della
mortalità da tumori del basso Salento sia da attribuire direttamente alle
decennali emissioni dell’Ilva e, dunque, al disastro ambientale.
Sul punto giova
riportare l’illuminante intervista rilasciata dal dott. Serravezza all’indomani
delle dichiarazioni del Ministro CLINI in cui quest’ultimo afferma che a Lecce vi
è una mortalità più alta rispetto a Taranto:
“Dottor Serravezza, tutto sommato le
affermazioni di Clini, anche se l’hanno fatta irritare, hanno il merito di aver
riacceso il dibattito sulla crescita delle morti oncologiche nel Salento, vero?
«Il fatto che a Lecce ci sia una mortalità superiore a Taranto non può essere
usato come argomento per scagionare l’Ilva. Pochi mesi fa, con le nostre
pubblicazioni, abbiamo cercato di attirare l’attenzione delle istituzioni, ma
siamo stati ignorati. Ora, grazie a questo intervento del ministro, anche se
poco corretto, finalmente se ne parla. Si cita un fatto drammatico per noi, per
un fine insulso, cercando di sminuire il caso Taranto: questa è una cosa da
irresponsabili, che fa molta rabbia, specie quando non si fa nulla e non si
programma nulla per tutelare i cittadini».
I vostri dati sono inoppugnabili?
«I dati si ripetono ineluttabilmente da 15 anni. A Lecce, tanto per dire, nel
2008 sono morte 2080 persone: ben il 22 per cento in più rispetto a quelle
previste dalla media pugliese; a Taranto la crescita è del 10 per cento,
quindi, noi li superiamo. Ogni anno il 22 per cento in più rispetto alla media
pugliese. Ben 215 morti in più a Lecce, rispetto a Bari, Foggia, Brindisi e
Bat. I nostri dati non sono fesserie fatte così: il ministro venisse a parlare
con noi, che gli spieghiamo come stanno le cose. Tutto è fatto scientificamente,
con dati Istat, dell’Osservatorio Epidemiologico Pugliese e dell’Istituto
Superiore di Sanità: il nostro lavoro è stato quello di renderli omogenei, con
un metodo scientifico di calcolo, analizzando il dato non in maniera assoluta,
ma raffrontandoli con le varie regioni in un arco di tempo di vent’anni».
Primi in Puglia, ma rispetto al resto d’Italia come siamo messi?
«Un giornale salentino ha esagerato dicendo che siamo tra i primi in Italia.
Secondo i nostri dati, stiamo raggiungendo i livelli dei paesi del nord, quelli
con più industrie, mentre prima eravamo il 25-30 per cento in meno rispetto
alle regioni con un alto tasso, come Lombardia e Luguria: ora questo gap
virtuoso lo abbiamo bruciato. Da dieci anni, però, il trend nel nord Italia è
verso la riduzione, mentre il trend del tasso di mortalità oncologica del sud
aumenta continuamente».
Perché a Lecce la mortalità oncologica è più alta di Taranto? Lei ha
una tesi ben precisa, vero?
«Qualcuno dice che è il Radon, altri che si fuma maggiormente: ognuno dice le
sue fesserie, perché studi finalizzati all’individuazione delle cause non ce ne
sono».
Però, anche lei ha messo fuori la teoria dei venti che porterebbero su
Lecce il fumo dell’Ilva e di Cerano.
«Qualcosa la Lilt l’ha fatta dal punto di vista dello studio delle cause,
insieme al Cnr: dallo studio dei venti si conoscono i percorsi che quelle
sostanze fanno. Il Cnr è venuto a monitorare il percorso qui, qualche hanno fa,
e ha rintracciato particelle provenienti dalle ciminiere di Taranto a Tricase.
Si tratta di rilievi scientifici. I venti spostano i veleni fin qui: gli studi
sono netti, chiari e in linea con quello che si sapeva già nel passato. Qualche
stupido si scandalizza per questo, ma noi salentini conosciamo la potenza dei
venti: quando piove, da Scirocco, abbiamo la sabbia libica del deserto che
piove sulle nostre macchine. Al di là di ogni studio, basta il buon senso. Se quelle ciminiere quantizzano
tonnellate all’anno di sostanze emesse, queste sostanze da una parte devono
andare: quindi, vengono disperse su un territorio vastissimo, contaminando
anche il sottosuolo. A sud di Cerano, sono state poste sotto sequestro
delle aree enormi perché contaminate: impregnate di arsenico e altri veleni.
Buona parte di questi veleni, come dimostrano gli studi del Cnr, sono giunti
fino a Lecce, viaggiando attraverso l’aria»”.
Le esternazioni
del dott. Serravezza si fondono con la perizia dei professori Forastiere,
Triassi e Biggeri oggetto di valutazione in sede di Riesame. Difatti, rispondendo
alla consueta eccezione difensiva dei legali degli indagati sull’inidoneità
della stima epidemiologica a far affermare il nesso causale tra le condotte
criminose contestate ai dirigenti Ilva e la verificazione del disastro
ambientale, il Tribunale le liquida come “prive
di pregio”.
Ma i Giudici non
si fermano lì, e chiosano questa parte dell’ordinanza con un’illuminante
periodo: “peraltro, a parere del
Collegio, una relazione causale di tipo probabilistico riconosciuta in via
prevalente dalla comunità scientifica potrebbe rendere possibile, anche con
riferimento alle morti ed alle malattie, giungere nel caso di specie ad un
giudizio prossimo alla certezza, espresso in termini di probabilità logica o
credibilità razionale, in ordine alla loro derivazione causale dalle emissioni
inquinanti.”….
L’esplicativa
sentenza del Riesame appalesa altre tragiche prospettive laddove entra nelle
pratiche dell’industria analizzandole come segue: “le emissioni si distinguono in CONVOGLIATE (effettuate cioè, attraverso
uno o più appositi punti) e NON CONVOGLIATE (o diffuse) e, queste ultime, in DIFFUSE
propriamente dette ( quelle che si disperdono volutamente in atmosfera senza
l’ausilio di un sistema di convogliamento delle stesse all’interno verso
l’esterno) e FUGGITIVE (rilasciate non intenzionalmente nell’ambiente
circostante. Secondo l’impostazione accusatoria recepita dal GIP gli odierni
imputati avrebbero realizzato o comunque volontariamente non impedito imponenti
quantità di emissioni diffuse e fuggitive, proveniente dalle aree ILVA, di
polveri inquinanti contenenti sostanze nocive per la salute umana, animale e
vegetale (tra cui diossina, benzo(a)pirene, metalli) provocando disastro
ambientale con pericolo per la salute pubblica.”
Il Sindaco di
Taranto il 24 maggio 2010 presentava un esposto alla Procura di Taranto con il
quale chiedeva “di voler dare avvio alle
indagini necessarie per accertare eventuali responsabilità penali in ordine
all’aumento di patologie oncologiche nella popolazione di Taranto, riscontrato
negli studi posti a fondamento: Registro dei Tumori Jonico Salentino” I
dati richiamati nell’esposto del sindaco di Taranto e nelle relazioni dell’ARPA
in ordine all’elevato tasso di incidenza di alcune patologie tumorali nell’area
di Taranto e dell’elevato rischio sanitario correlato all’inquinamento
ambientale da emissioni industriali, hanno trovato conferma nella perizia
epidemiologica disposta con le forme dell’incidente probatorio dal GIP i cui
esiti, ancora una volta, indicano nell’ILVA la principale fonte emissiva di
inquinanti nell’atmosfera, e nella esposizione della popolazione a tali agenti la
causa di fenomeni degenerativi di diversi apparati dell’organismo umano che si
traducono in eventi
di malattia e di morte.
Dunque,
sentenzia il Riesame, alla luce delle evidenze richiamate non può revocarsi in
dubbio che fonte decisiva, preponderante, se non pressoché esclusiva,
dell’inquinamento ambientale dell’area di Taranto sia proprio lo stabilimento
siderurgico dell’ILVA che, come osservato, per condizioni degli impianti e
concrete modalità di attuazione delle lavorazioni del ciclo produttivo,
sconfina manifestamente dai parametri normativi o tecnici individuati per la
salvaguardia ambientale e, in definitiva, per la gestione eco-sostenibile di
attività produttive ad alto rischio quali la siderurgia
A parere
pressoché unanime, coloro che hanno subito un danno in questa vicenda non sono
solo i malati, i morti o i parenti di questi ultimi. Pur in maniera diversamente
grave, tutti i residenti nelle zone esposte alle immissioni nocive del
siderurgico sono danneggiati, quantomeno sotto il profilo “morale”, dal reato
di disastro ambientale. E l’ambito
di “esposizione”, in questa indagine, non deve riduttivamente racchiudersi nel
tarantino come se ci fosse una campana di vetro atta ad impedire
all’inquinamento di allontanarsi, bensì deve allargarsi così
come soffia il vento.
Purtroppo
l’allegro motto che da anni caratterizza il nostro Salento oggi è foriero di
cattive notizie, Infatti, “SALENTO SOLE MARE E VENTO”, in quest’analisi è il
triste riconoscimento che i venti
caratterizzanti il nostro territorio muovono l’inquinamento prodotto
dall’ILVA spingendolo e riversandolo sui nostri concittadini, sui nostri
animali, sulle nostre terre.
Brindisi-Taranto, l'asse del male si dice.
Territori avvelenati, aria malata, terreni pieni di diossina. E popolazione che
muore di tumori. Da quasi 20 anni ci sono dati incontrovertibili che
documentano l'aumentata incidenza di malattie tumorali di origine ambientale
nella provincia di Lecce. E ci sono dati Istat che indicano come e perché il
Salento sia l'area più inquinata della Puglia. Un tasso di mortalità per tumori
maligni di trachea, bronchi e polmoni cresciuto vertiginosamente. Le aree
interessate sono tutte nel Salento, da Lecce in giù. Maglie il paese più
colpito (43 decessi nel 2004, 37 nel 2005), ma anche Gallipoli, Nardò, Tricase,
Cutrofiano.
Dati che sforano la media regionale e che
indicano, per tutto il Salento, un quadro di eccesso di mortalità attribuibile
all'inquinamento ambientale di origine industriale. La provincia di Lecce, stranamente, è l'area a più alta incidenza di
cancro della Puglia, secondo le statistiche Istat e le cifre dell'Osservatorio
epidemiologico. Ma come? Non era Taranto la città più inquinata d'Europa a
causa dell'Ilva e delle emissioni di diossina. E come mai i grandi colossi
industriali si trovano a Brindisi (il Petrolchimico) e a Taranto (l'Ilva) e le
gente muore di tumore a Lecce e provincia? La
risposta è da cercare nel vento. Secondo lo studio dell'Istituto di Scienze dell'Atmosfera
e del Clima del Cnr, che ha indagato sugli agenti inquinanti presenti
nell'atmosfera del territorio salentino, la causa è proprio nel vento; che
trasporta diossina da Taranto e altri tipi di agenti inquinanti dal
petrolchimico di Brindisi.
Ed è per questo
che l’alta mortalità da tumori riscontrata nel basso Salento è da addebitarsi ragionevolmente
a quelle emissioni e dunque suscettibile di riconoscimento e tutela in quello
od in altro procedimento penale. Tenuto altresì conto che, nel Rapporto 2010
dei tumori in provincia di Lecce (Registro Tumori) riferito agli anni 2003-2004
si dice:” Si conferma, però, la
maggiore incidenza dei tumori polmonari nel sesso maschile, sia nei confronti
delle altre regioni del meridione sia anche rispetto alla media nazionale.”(cfr. pg. 13)
Quanto detto parla prima di tutto ai nostri
cuori, alle nostre vite e alla nostra storia e dunque è il nostro passato e il
nostro presente. Ma rischia di essere anche il nostro futuro. Di parole ne
abbiamo già dette e scritte tante, forse troppe. Ora ci vogliono i fatti. Che
si chiamano alternative economiche, risarcimento danni e bonifiche. Da
pretendere e ottenere, a qualunque costo. Tutto il resto, acciaio compreso, non
conta più niente.
Quanto detto avvalora, oggi come non mai,
l’ipotesi che il nostro territorio, il
Salento, sia la vittima silenziosa ed indifesa del disastro ambientale
oramai accertato. Le istituzioni ad ogni livello dovrebbero prendere
atto della situazione e porre in essere tutte quelle iniziative volte a
bonificare e tutelare il territorio ed i cittadini ivi residenti. Ormai il nesso di causalità tra
inquinamento atmosferico ed aumento delle malattie è ad un tiro di schioppo
dall’essere riconosciuto ai livelli che
contano, ed il fatto che sia
approdato nell’aula del Riesame ed ivi innalzato ad assioma induce a ritenere
fattibile la configurabilità dei Comuni salentini quali parti offese di quel
procedimento penale ovvero di altri nascenti su quella scia. La parte Offesa ha una funzione “accessoria
ed adesiva” a quella pubblica, a cui si affiancano attività autonome di
controllo e di stimolo in ordine alle indagini, all’assunzione di prove, all’esercizio
dell’azione penale. La legittimazione all’esercizio dei diritti e delle facoltà
che sono attribuiti all’offeso sorge, quale conseguenza della commissione del
reato, in capo al soggetto che è titolare dell’interesse protetto dalla norma
penale violata. La commissione del reato di DISASTRO AMBIENTALE 434 c.p.
implica un’offesa all’interesse particolare tutelato dalla stessa norma violata
sanzionato con l’inflizione di una pena, al quale solo in via eventuale si
accompagna un danno civile. Il danneggiato è colui il quale subisce le
conseguenze patrimoniali negative derivanti dalla condotta illecita ed assume
il conseguente diritto alla restituzione o al risarcimento del danno
patrimoniale o morale subito.
Insomma, il Salento
parte offesa naturalmente riconosciuta, potrebbe e dovrebbe finalmente
costituirsi parte civile nell’ambito giudiziario, e presentare il conto dei
danni per se e per i tanti cittadini che hanno subito in silenzio l’efferata
violenza dell’ILVA.
E questo compito è oggi prerogativa di chi
amministra il territorio che non può far finta di niente girando lo sguardo
altrove, perché è proprio quest’atteggiamento che ha ingrossato le condizioni
di malattia e di morte.
Avv.
Maria Angela D’amico
Nessun commento:
Posta un commento